Coaching
14 Luglio 2022
Berardo Berardi
Tempo di lettura: 18 mins
Coaching
14 Luglio 2022
Berardo Berardi
Tempo di lettura: 18 mins
Nel precedente articolo abbiamo individuato 8 vantaggi che derivano dalla scelta di rivolgersi ad un business coach, che si sia un imprenditore o un manager o un dirigente o anche una persona che ha una posizione aziendale che, in qualche modo, comporti responsabilità e raggiungimento di obiettivi.
E, per ognuno dei vantaggi individuati, abbiamo sinteticamente esposto i motivi del vantaggio.
Proseguiamo nel ragionamento, andando ad approfondire questi vantaggi, analizzandoli ognuno in un articolo dedicato, partendo dal primo che abbiamo esposto: Confrontarsi con chi è in posizione dissociata.
Il vantaggio in questione è diretta conseguenza della figura del business coach, sempre nella misura in cui il professionista eserciti il suo ruolo, in modo sano. Il coach non è uno specialista di qualcosa, non è un manager esterno all’azienda, inserito a gestire qualche divisione aziendale o qualche processo.
In generale, se ha delle competenze specifiche, che coincidono con quelle che servono alla persona o al gruppo di persone che sta aiutando, si tratta di una pura coincidenza; oppure, si tratta di un consulente che ha delle competenze che, nel momento in cui esercita il ruolo di coach, deve mettere da parte.

Le competenze del coach non attengono al business, nel quale è operativo il suo coachee del momento. Le competenze del coach attengono alla sua abilità nell’aiutare il suo coachee, ad usare il cervello in maniera più performante e, comunque, diversa da come lo sta utilizzando.
E, dunque, non fa valutazioni tecniche o di merito. Non deve farle. Deve limitarsi a comprendere come il coachee ragiona, nel fare le valutazioni tecniche o di merito che competono a quest’ultimo. In teoria, il coach potrebbe non capire neanche bene, e non poche volte accade, in cosa consista il business del suo coachee o qual è il suo ruolo, quali sono le sue mansioni ed i suoi compiti. Sono conoscenze che non gli servono, per svolgere il ruolo di coach anzi, paradossalmente, questa “ignoranza” potrebbe aiutarlo a fare meglio il suo lavoro, perché non è influenzato da come egli stesso svolgerebbe il ruolo del coachee, se fosse al suo posto.
Dunque, il coach, che sa fare il proprio mestiere, è in una posizione dissociata, rispetto al contesto nel quale si muove il coachee.
E questo è un innegabile vantaggio. Chi si trova in una posizione fuori contesto, è in grado di leggere, con lucidità sensibilmente maggiore, rispetto alla persona che sta aiutando, la situazione nel suo insieme e il modo in cui il suo cochee o, se ha a che fare con più persone, il gruppo che segue si rappresenta la situazione e come si muove, in funzione di tale rappresentazione.
Il fatto di essere in posizione dissociata permette al coach di analizzare la situazione, libero da tutti i filtri con cui, inevitabilmente, devono fare i conti, colui o coloro i quali il coach sta aiutando. E si tratta di filtri di diversa natura.
Alcuni filtri derivano proprio dalle competenze, che il coachee ha e di cui è consapevole. Tali competenze, non poche volte, portano il coachee a partire da presupposti formulabili in questo modo:
- “Io so come si fanno le cose”
- “Chi vuole insegnarmi il mestiere non ha capito con chi ho a che fare”
- “Non capisco perché gli altri non fanno le cose come chiunque, in possesso della mia competenza, farebbe”
Ora, siamo sempre lì, se avere competenze è sicuramente importante, in quanto nessuno potrebbe portare avanti, con successo, incarichi di responsabilità, senza competenze specifiche, è altrettanto vero che le stesse competenze possono diventare un limite, in quanto si potrebbe essere portati a pensare che non ci siano altri modi o altri metodi o approcci, magari più efficienti ed innovativi, di svolgere le attività di propria spettanza.
Il bravo business coach è in grado di fare questo.
Di portare il coachee a ragionare oltre le proprie competenze, portandolo, quantomeno, ad esercitare il dubbio:
- “Ma le mie competenze sono veramente complete?”
- “Nel mio team ci sono altre competenze, oltre le mie, che potrei utilizzare meglio di come sto facendo?”
- “Ci sono aspetti, legati al mio lavoro, nei quali necessiterei di un aggiornamento?”
Se il coach porta il cochee ha farsi domande di questo tipo, si può dire che ha già svolto un lavoro egregio. Ha fatto il lavoro per il quale è stato chiamato: portare il cochee ad ampliare l’area da scandagliare, per poter affrontare le situazioni che lo stanno impegnando.
Un altro filtro può derivare dall’esperienza regressa del cochee e, ancor di più, se ha a che fare con una persona, che è da tanti anni in quella posizione o è tanto tempo che è impegnato in quel ruolo.
La classica frase: “abbiamo sempre fatto così” è un manifesto linguistico di questo tipo di criticità.
Alcuni casi di morte di tante aziende o la fine di tanti percorsi professionali, non poche volte, hanno la loro causa scatenante, proprio in atteggiamenti ben rappresentati da questo pensiero: “abbiamo sempre fatto così”.
Un abile coach è in grado di portare il suo cochee a farsi queste domande:
- “Il fatto che si sia sempre fatto così, significa che non si possa fare in un modo diverso e, magari migliore?”
- “Il fatto che si sia sempre fatto così, fino ad oggi, è la garanzia che questo modo di fare possa andare ancora bene, domani o dopo domani?
- “Ci sono competitor o anche realtà non direttamente in competizione, che si comportano diversamente?”
Queste sono domande che, normalmente, chi è protagonista di una certa situazione, tende a non farsi. Il paradosso è che il fatto di essere così associati, obnubila la visione complessiva ed impedisce di cogliere il tutto da angolazioni, che porterebbero liberare risorse o ad utilizzarle diversamente e, naturalmente, in maniera molto più produttiva.
Altri filtri, che un abile coach può portare a rimuovere, sono legati alla percezione che il cochee potrebbe avere di sé stesso. Come vedremo negli articoli successivi, ognuno di noi ha una rappresentazione, di sé stesso e delle proprie capacità, che potrebbe corrispondere o meno alla reale potenzialità.
Ci sono persone che si sottovalutano. Cioè, sono persone che si sminuiscono, che pensano di valere meno di quello che realmente valgono, che sottovalutano i risultati che ottengono e amplificano gli insuccessi.
Al contrario, ci sono persone che si sopravvalutano. Tendono a rappresentarsi più valenti di quello che sono e, magari, pensano di essere capaci di far fronte ad ogni situazione. E, nel farlo, tendono ad esaltare le proprie qualità oppure tendono ad amplificare il proprio ruolo determinante, nella risoluzione di certe situazioni, occultando nel racconto, a sé stessi ed agli altri, le situazioni in cui hanno conseguito insuccessi o non sono stati in grado di risolvere situazioni o descrivendo un ruolo decisivo, nella risoluzione di situazioni critiche che, in realtà, non hanno affatto avuto.
Entrambe le figure ingigantiscono la distanza tra la situazione oggettiva e la situazione rappresentata, in una misura abnorme e, comunque, disfunzionale al reale contributo che possono dare, nello svolgimento del proprio incarico o nel portare avanti il proprio ruolo. Intendiamoci, la distanza tra realtà e rappresentazione riguarda ogni essere umano. Ma ci sono persone per le quali, questa distanza è tale, da risultare un problema.
La posizione dissociata di un business coach e la sua abilità, oltre che una certa autorevolezza, nei confronti del coachee, possono aiutare quest’ultimo a ridurre questa distanza, in tutti e due i casi. Possono portare chi si sminuisce a prendere in esame le proprie qualità o i propri risultati, per rafforzarne autostima e consapevolezza. E possono portare chi si sta sovradimensionando, a fare “un bagno di realtà”, portandolo alla consapevolezza del fatto che il suo contributo, presente e passato, ha una portata diversa e più modesta, di quello che racconta o, peggio ancora, pensa.
Certo, in tutti e due i casi ma, come si può immaginare, soprattutto nel secondo, il coach paga un tributo alla propria autorevolezza. Ognuno di noi, tende a pensare che la propria rappresentazione sia la realtà (ne parleremo, in maniera approfondita, a proposito delle credenze) e, in certi casi, questa convinzione, non solo è radicatissima ma è accompagnata anche dalla mancanza totale di un’attitudine a fare verifiche o a confrontarsi.
Dunque, un business coach, per quanto autorevole, almeno in una prima fase, arriverà al coachee, meno autorevole delle convinzioni che accompagnano quest’ultimo. E l’abilità di fare domande non basta. Ci vuole autorevolezza e la disponibilità, da parte del coach, di pagare un prezzo di autorevolezza (cioè di essere egli stesso sottoposto al dubbio di chiunque provi, non dico a raccontare, ma ad ipotizzare che le cose possano stare diversamente, da come il cochee crede), almeno in una prima fase.
E’ solo quando il coach riesce a portare il cochee a “rompere il muro” delle proprie certezze e cominciare ad esplorare altre potenziali realtà, che la propria autorevolezza, non solo non sarà più a rischio, ma tornerà più potente di prima.
Ma è un prezzo da pagare. Un passaggio di allineamento, tanto più difficile, quanto più il cochee è rannicchiato, in difesa, nella sua rappresentazione.
Non è detto che questo passaggio abbia successo. Non poche volte il cochee avverte il “pericolo” che l’azione del coach comporti che egli debba mettere in discussione troppe certezze o, comunque, alcune che valuta essenziali; e cede all’“istinto di sopravvivenza” che, in questo caso, non è altro il riflesso automatico di scegliere il “certo” per l’incerto”. E, in casi come questi, la collaborazione si interrompe o perché è lo stesso cochee che, direttamente o indirettamente (che significa che comincia a saltare le sessioni, anteponendo “improrogabili” ed improvvisi impegni) oppure è il business coach che, molto professionalmente, si tira indietro, informando il cochee, che non ritiene ci siano le condizioni per proseguire.
Ma se si riesce a superare questo passaggio, allora la strada diventa in discesa. Il coach esercita la sua funzione di guida, naturalmente formulando le giuste domande, ed il coachee comincia a sperimentare nuove strade, liberando risorse e trasformando le crisi in opportunità.
Tutto questo può derivare dall’affidarsi ad un bravo business coach. E, tutto questo accade, proprio perché il bravo coach, rimane in posizione dissociata e, da questa posizione, guida il coachee.