Coaching
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Berardo Berardi
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Berardo Berardi
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La questione dell’imparare a fare in modo che strumenti e delle tecnologie diventino funzionali alla nostra vita e alla nostra esistenza e la facilitino è vecchia come il mondo.
Da sempre il rapporto con la tecnologia, e con i nuovi strumenti genera, nell’essere umano, una sorta di diffidenza/resistenza/rinunzia all’utilizzo che può condurre ad esiti diversi. O, al contrario, può generare una sorta di dipendenza, per cui, gli strumenti passano dall’essere al nostro servizio all’essere i nostri padroni.
E’ sempre stato cosi, dicevamo, da quando l’uomo ha scoperto il fuoco e poi, il ferro e parliamo delle prime fasi dell’essere umano sulla terra.
Per limitarci agli ultimi decenni, siamo sicuri che chiunque stia leggendo, conta sulle dita di una mano le persone, che conosce, che non sono in possesso di uno smartphone e non lo utilizzano per svariate attività, di tutti i giorni, dal semplice svago (sui social o con i giochi) alla pianificazione della giornata, all’apprendimento di notizie e per altre innumerevoli funzioni.
Rapportarsi con i supporti, con le strutture, con la tecnologia che, ogni giorno, ad una velocità siderale, genera aggiornamenti, non è questione semplice, per l’essere umano. Eppure, siamo certi che molti potranno confermare che avranno sentito più di qualcuno, che oggi non potrebbe fare a meno dello smartphone, durante l’ultimo decennio del secolo scorso, fare affermazioni di questo tipo: “io, il cellulare, non lo userò mai” oppure “io non mi iscriverò mai su Facebook”; salvo poi, aver acquistato il portatile e aver stabilito, con esso, un rapporto tale per cui, oggi, non potrebbero ma separarsene o essersi iscritti, non solo a Facebook ma anche ad Instagram a Tik Tok e a tutta un’altra serie di social.
E, tornando indietro nel tempo, ogni volta che è arrivata una novità, tecnologica o strumentale, è sempre stata accolta con sospetto e con ostilità, da parte dei più i quali, in quella fase, giuravano che mai avrebbero fatto uso di quella innovazione, denunciandone i danni che avrebbe sicuramente causato all’uomo ed alla società. Sorti di questo tipo, sono toccate al PC (che avrebbe determinato l’estinzione delle segretarie d’azienda) del telefono fisso, dell’automobile.
Magari vi starete chiedendo, cosa c’entra tutto questo con il ruolo del mental coach?
O forse, dopo aver letto gli articoli precedenti, non ve lo state chiedendo neanche più.
Se c’è un filo conduttore, di tutti gli aspetti esposti è questo ruolo del business coach che ricorda un po’ il grillo parlante di Pinocchio:
una coscienza critica, pronta a pungolare il cochee, per aiutarlo a direzionare in maniera diversa e migliore, quando serve, i ragionamenti che compie.
Certo, a differenza del personaggio creato da Collodi, il bravo business coach lo fa con un approccio molto più empatico, di quello un po’ da professore arrogante che connotava il personaggio della favola; e, soprattutto, non lo fa emanando sentenze, ma utilizzando il suo strumento per eccellenza: le giuste domande. Ma il senso del ruolo del coach è abbastanza assimilabile, al grillo di Pinocchio.
La novità, in tal senso, per quanto riguarda l’uso degli strumenti, delle tecnologie e delle strutture, sta nel fatto che, in questo caso, il business coach può fare qualcosa in più. Può, egli stesso, usare strumenti, tecnologie e strutture, nella gestione del rapporto con il cochee.
Per esempio, può portare il cochee ad utilizzare tecnologie e strumenti per gestire le sessioni di coach. Già il fissare un calendario di appuntamenti, può avvenire tramite una delle tante app, ormai scaricabili, che sono funzionali alla pianificazione delle attività. E’ un modo, indiretto, per addestrare il cochee a pianificare meglio il suo tempo. La sessione, che fino a pochi anni fa, si concepiva inevitabilmente in presenza, oggi può essere tenuta online, senza problemi.
Certo, in tal senso, la pandemia è stato un grosso acceleratore e il rischio è che si vada verso l’eccesso opposto e che, cioè, tra smart working e comodità di incontri a distanza, si finisca per non incontrarsi più, fisicamente.
Ma, è certo che oggi è diventata naturale la nuova dimensione della “call” della riunione o dell’incontro one to one, tramite gli strumenti e le tecnologie. Se mai ce ne fosse bisogno, un coach aggiornato può indurre il cochee, che è rimasto indietro, ad utilizzare la tecnologia, per le sessioni, tenendole a distanza anche quando, non sarebbe un grosso problema, vedersi in presenza.
Altro modo, da parte del coach di portare il cochee all’uso delle tecnologie è quello di sollecitarlo, indirettamente, ad utilizzarle nella sua attività quotidiana. Può fargli domande relative al modo con cui segue i suoi collaboratori e agli strumenti che utilizza. Per esempio, può chiedergli ogni quanto tempo verifica i dati inseriti nel CRM, dalla Sua squadra commerciale.
Oppure può chiedergli, quando verifica i dati, in che modo si confronta, sui dati inseriti, con i propri collaboratori. Sono sollecitazioni indirette, che il bravo business coach fa, attraverso le domande.
Altro modo indiretto di indurre il cochee ad utilizzare strumenti e tecnologie è quello di ricorrere a metafore od analogie o, meglio ancora, ad utilizzare scenari in cui si prospettano miglioramenti, in termini di efficienza, nell’attività del cochee. Per esempio, potrebbe darsi che il cochee rappresenti una situazione in cui impiega (perde) tanto tempo, nell’espletamento di una certa attività. Un modo indiretto, da parte del coach, di portarlo ad utilizzare strumenti e tecnologie, potrebbe essere quello di fargli una domanda del tipo:
“quanto tempo potresti guadagnare se, piuttosto che fare manualmente e di persona quella specifica attività, potessi delegarla ad un software, in cui devi solo velocemente inserire i dati, una volta per tutte?”
E’ una domanda che porta il cochee ad aprire una visione.
Una persona che immagina di avere del tempo libero, grazie all’utilizzo di qualcosa che ancora non sa usare, lo porta ad apprezzare il tempo e l’impegno che dovrà “investire” per prendere dimestichezza con lo strumento e la tecnologia che, una volta messi a regime, gli restituiranno tanto tempo.
Perché, il principale motivo di resistenza, da parte degli esseri umani, all’uso delle nuove tecnologie o strumenti o strutture, è determinato dal peso inconscio che si avverte, nel momento in cui, per arrivare al risultato di avere uno strumento di efficienza e di miglioramento a disposizione, bisogna passare per una fase di apprendimento, di presa di coscienza e dimestichezza e, non ultima di automazione dell’utilizzo o, se si vuole, più banalmente, di far diventare quell’utilizzo un’abitudine.
Forse il punto realmente critico è esattamente critico: l’instaurazione di un’abitudine. Dire che è difficile acquisire un’abitudine sembra apparentemente paradossale, atteso che l’essere umano è fondamentalmente abitudinario e, dunque, l’acquisizione di un’abitudine dovrebbe venirgli naturale.
Il problema vero, però, non è quello di acquisire un’abitudine; il problema vero è quello di sostituire un’abitudine ad una precedente. E qui si apre una vera e propria partita.
E’ noto che è più facile imparare un qualcosa ex novo, che disimparare a fare una qualsiasi attività in un certo modo e farla in un modo diverso. Questo vale per il lavoro, come la vita personale e lo sport. La questione delle abitudini è un oceano, nel quale non è questa la sede, per tuffarsi. Ma il punto che ci interessa trattare è che il più grande nemico, dell’acquisizione di una nuova abitudine, è una vecchia abitudine che presidia l’area di azione, in cui si vorrebbe acquisire la nuova. E, fare questa sostituzione necessità un grande lavoro, anche quando questo cambio è accompagnato dalle migliori intenzioni e da una forte volontà, in quanto si deve combattere contro il proprio inconscio, dove gli schemi della vecchia abitudine, sono radicati a livello neuronale e agiscono in automatico. Non si può tenere il livello di attenzione razionale, costantemente sul processo che si intende instaurare e, non appena si abbassa la guardia, ecco che il vecchio schema parte in automatico, spesso senza che neanche ci si accorga di questo.
Si pensi allo sport, quando un allenatore dice all’atleta che avrebbe vantaggi a modificare un certo movimento (nel tennis, passare dal rovescio ad una mano al rovescio a due mani) o a fare un’azione in un modo diverso (nel basket, tirare con la mano sinistra, anche se si è abituati a tirare da destra, quando si è nella parte sinistra del campo) da come la fa abitualmente; la cosa più facile è che l’atleta faccia il nuovo movimento o l’azione nel nuovo modo, in una prima fase ma, appena si distrae, torni a fare il movimento o la stessa azione, nel vecchio modo.
Ma, senza scomodare lo sport, si pensi a quante persone sono dipendenti dallo smartphone; controllano il proprio dispositivo, decine di volte al giorno; lo fanno, ormai, inconsapevolmente, nel senso che, in automatico, non appena hanno un vuoto di azione, il cervello li porta a controllare il proprio apparecchio, andando a fare zapping tra le app.
Per chi ha questo tipo di abitudine (la gran parte delle persone, ormai) evitare questo continuo consulto del proprio telefono è un’azione quasi impossibile e, comunque, difficilissima.
E questo dipende dal fatto che, non appena si abbassa la soglia razionale, quella in cui opera la volontà, l’automatismo scatta e ci si ritrova a consultare il proprio smartphone, senza neanche accorgersene.
Su questo un business coach può agire indirettamente, aiutando il cochee al cambio di abitudini. La conoscenza dei meccanismi mentali può consentirgli di indurre il cervello del cochee, a lavorare in modo da disincentivare l’attivazione di vecchie abitudini e la sostituzione con nuove abitudini.
Le modalità, le giuste domande, le giuste sollecitazioni al momento giusto, il carisma fanno il resto.
Una cosa è certa.
Tecnologie, strumenti, strutture possono essere grandi alleati così come grandi ostacoli.
Un business coach sa leggere la situazione e sa indirizzare il cochee incentivandolo o disincentivandolo, a seconda dei casi, a fare le giuste scelte, presidiate dai giusti ragionamenti.
Indirettamente.
Con le giuste domande.