Tempo di lettura: 18 mins
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Coaching
20 Novembre 2022
Berardo Berardi
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Confrontarsi con qualcuno che fa riflettere sul proprio allineamento valoriale
Il fatto è che, nella vita, ogni giorno siamo chiamati a fare delle scelte.
Dalle più semplici (quale camicia indossare) a quelle più complesse (“Accontento il mio partner e vado a teatro oppure prediligo il mio piacere e vado allo stadio?”)
E’ evidente, i due esempi sono di una banalità estrema.
Ma crediamo svolgano adeguatamente la funzione di richiamare l’attenzione sull’enorme mole di scelte, che facciamo e siamo chiamati a fare continuamente.
Ma in base a cosa scegliamo?
Alcune scelte le facciamo per comodità, altre per abitudine (soprattutto quelle che facciamo in automatico e che, contrariamente a quello che si possa pensare, sempre di scelte si tratta); altre ancora le facciamo istintivamente o, invece, a seguito di lunga e complessa ponderazione. I processi decisionali, con cui arriviamo a scegliere, come si evince, sono diversi. E, probabilmente, la stessa scelta del processo decisionale, influenza la scelta che si opera.
Quello che è certo è che scegliamo.
E scegliamo molto di più di quello che immaginiamo. Lo sappiamo, alcuni staranno pensando: “ci sono situazioni nelle quali, non si può scegliere, ma siamo costretti”.
Ma sarà veramente così? Lo vedremo tra un attimo.
Prima di affrontare questo punto, però, è importante farsi una domanda:
“Ma, aldilà del processo decisionale che adottiamo, c’è un denominatore comune che ci porta a scegliere?”
La risposta, a questa domanda è “sì”.
E questo denominatore comune si chiama “importanza”. E’ l’importanza che diamo alle cose, che ci porta ad operare le scelte. Tutte. Anche quelle che facciamo in automatico, inconsciamente, per abitudine. Anche quelle, le facciamo in base a criteri di importanza.
Ma cosa vuol dire? E che cos’è l’importanza?
L’importanza è un indicatore. E’ l’indicatore di un nostro “valore”. Non è un caso che, in moltissime discipline, con l’etichetta linguistica in questione, si definisce “ciò che, per noi, è importante”. E’ questa la definizione più plastica, sintetica e riassuntiva, del concetto di valore.
Dunque, noi scegliamo in base all’importanza che diamo alle cose. E l’importanza che diamo alle cose nasconde il valore che ci ha fatto decidere. Ritornando ad uno degli esempi, con cui abbiamo aperto questo articolo, se sceglieremo una camicia, piuttosto che un’altra, lo faremo in base all’importanza che diamo ad un certo colore e/o taglio della camicia, in relazione a dove ci stiamo per recare; se sceglieremo di andare a teatro, piuttosto che allo stadio, lo avremo fatto, intanto per un valore, il desiderio di accontentare il partner, dunque l’amore (o la paura delle conseguenze) se sceglieremo, viceversa, di andare allo stadio, lo avremo fatto per un valore, l’amore per la nostra squadra del cuore oppure l’amore per noi stessi e per il nostro appagamento.
L’esempio fatto, inoltre, mette in evidenza anche un’altra questione: ognuno di noi, sceglie in base ad uno o più valori ma, ognuno di noi, è dotato di una invisibile scala detta, appunto “valoriale”, in cui ogni gradino è occupato da un solo valore. Questa ulteriore specificazione assume rilevanza, solo in casi come l’esempio fatto (stadio o teatro) laddove, la soddisfazione di un valore, in automatico, rende impossibile la soddisfazione di un altro valore che, inevitabilmente soccombe.
Tornando al punto di partenza è il momento di chiarire che ogni scelta, anche quelle che facciamo in automatico o involontariamente, sono guidate da un meccanismo di attribuzione di importanza. O, meglio, lo sono state ad origine, quando l’abitudine si è istallata o la scelta involontaria non era tale. In quel momento, quando abbiamo operato la scelta, che poi è diventata automatica, abbiamo fatto una valutazione di importanza. Per fare un esempio, dagli studi fatti, risulta che il carrello delle persone che fanno la spesa abitualmente, per l’80% si riempie, in automatico, sempre degli stessi prodotti. Dipende dal fatto che, ad un certo punto, ogni prodotto che entra nel carrello è stato sottoposto a ponderazione, confrontato con altri prodotti simili, proiettato nella sua futura utilità e, infine, individuato come degno di essere acquistato. Ma, una volta superato il vaglio selettivo e, dopo che l’acquisto si è reiterato per due, massimo tre volte, quello specifico prodotto finisce nel carrello, appunto, “in automatico” come se chi lo sta acquistando, non si interroghi sulla reale capacità, del prodotto stesso, di soddisfare le esigenze di chi lo sta acquistando. E’ così, infatti, chi lo sta acquistando, non si interroga perché non ha bisogno di farlo; l’interrogativo, se l’è già posto da tempo e lo ha risolto. Ma tutto questo serve a dire che anche le scelte che pensiamo automatiche o involontarie, sono frutto di una scelta “valoriale”.
E, per rispondere a chi sostiene che certe volte non abbiamo scelta, è il caso di rispondere che così non è. Se mi si punta una pistola contro e mi si chiede di fare un qualcosa di contrario ai miei principi (rubare informazioni preziose, commettere un reato), apparentemente non ho scelta e, in generale, saranno moltissime le persone che stanno pensando: “con una pistola puntata, se faccio quello che mi viene chiesto, che svelta è?”.
Eppure, qualcuno potrebbe rifiutarsi.
Non è infrequente, per esempio, in guerra, che soldati fatti prigionieri, di fronte alla scelta se tradire la propria parte o morire, abbiano scelto o scelgano la morte.
E’ la dimostrazione che, per quanto difficile, c’è sempre una scelta.
Tutto questo, naturalmente, è noto ad un bravo business coach.
E, dunque, un bravo coach, tra le cose fondamentali che deve fare, nel processo di accompagnamento del coachee alla meta, è quello di rintracciare gli elementi fondamentali, della mappa valoriale della persona che sta seguendo.
Neanche a dirlo, con le giuste domande.
Se ci pensiamo, l’indagine sui valori è veramente fondamentale. E, per doversi motivi.
Intanto, perché aiuta a capire il perché il coachee agisce in un certo modo. Le sue scelte, come quelle di chiunque, sono chiaramente orientate dal suo bagaglio valoriale.
E, dunque, immaginate che ruolo giochino i valori di un imprenditore, un manager, un professionista, nella conduzione di un’azienda o di un’attività professionale.
In secondo luogo, conoscere la mappa valoriale del cochee, permette di affiancarlo meglio, nei momenti di cambiamento o di crisi. E’ facile, infatti, che l’assetto valoriale di una persona, impedisca il compimento di scelte che vadano verso la soluzione o, peggio ancora, che siano alla base dell’inizio di una crisi o di un momento di difficoltà.
Facciamo un esempio:
” Un ipotetico imprenditore che ha, come valore fondamentale, per misurare la dedizione e l’efficienza dei suoi collaboratori, il fatto che siano sempre presenti in azienda, che siano puntuali all’arrivo, che non vadano mai via prima dell’orario di chiusura, che non vivano male l’idea di fare qualche ora di straordinario e che si assentino solo per situazioni di estrema gravità.”
Ora, immaginate questo imprenditore che si sia dovuto confrontare con quanto è accaduto, dal 2020 in poi, con l’avvento della pandemia, le conseguenti restrizioni e l’adozione dello smart working.
La declinazione del valore “dedizione del dipendente” dell’imprenditore, appena descritta, sicuramente sarà stata messa a dura prova, dai due anni appena passati.
E, dunque, non solo l’imprenditore avrà vissuto malissimo, l’opzione smart working, ancorché imposta dalle autorità.
Non solo, avrà tifato sfrenatamente, affinché le restrizioni cessassero e si tornasse velocemente alla formula “esclusivamente in presenza”, ante pandemia. Ma, nella sua rigidità, non avrà neanche messo minimamente il focus sul fatto che, magari, la scelta dello smart working, seppure casuale e subita, possa aver portato benefici e miglioramenti di produttività, misurabili attraverso i risultati aziendali; e che, un ritorno al lavoro esclusivamente in presenza, potrebbe rappresentare un passo indietro, per l’azienda, che la penalizzerebbe, anche pesantemente, con il rischio che possa entrare in crisi.
Una estrema fedeltà al proprio valore “dedizione del dipendente” (che potrebbe essere indice di una rigidità di Mindset) potrebbe essere un vero e proprio inizio di un passaggio critico, per il futuro dell’azienda.
Ed ecco un coach che fa il fatto suo, intanto individuerebbe il valore del suo coachee, nella sua rigida declinazione. Lo porterebbe, con le giuste domande, a prendere coscienza del rapporto causa/effetto che esiste tra il valore dell’imprenditore e la prospettiva di crisi che si annuncia e, in passaggio successivo, potrebbe aiutare il cochee a rivedere, in parte, il suo assetto valoriale, per renderlo compatibile con scelte organizzative differenti.
E qui potrebbe sorgere una domanda.
Ma una persona può rinunciare ad un proprio valore, in nome di una scelta, mettiamo, di convenienza?
In realtà, per come l’abbiamo formulata, la domanda è troppo generica. E, in un primo approccio, almeno a livello etico, verrebbe di rispondere che
“No, se un valore è realmente tale, resiste ad ogni valutazione di convenienza, altrimenti che valore è?”
Se, in astratto e come risposta generica, alla domanda generica, la risposta è corretta, nel concreto la situazione è più articolata. Di fatto, un valore è un’“etichetta linguistica” come, nello specifico “dedizione del dipendente”. Un’etichetta, in quanto tale, è solo un indicatore generico. Non è un caso che, nello spiegare come l’imprenditore ipotetico, che abbiamo preso come esempio, concepisce il valore “dedizione del dipendente”, abbiamo elencato una serie di specifiche che gli hanno dato un contenuto. Questo è un passaggio decisivo, per comprendere bene cosa sono e come funzionano i valori. Un valore, in astratto, è un barattolo con un’etichetta. E, dunque, ognuno di noi, ha una serie di barattoli, nella sua interiorità, con su scritto “amore”, “amicizia”, “successo”, “professionalità”, “dedizione” etc …
E, seppure i barattoli, esternamente, riportino etichette identiche, quello che cambia è la ricetta del contenuto. E questa ricetta, come tutte le ricette, è strutturata in regole o, come ci piace chiamarli, in “criteri di soddisfazione del valore”. Ne parleremo diffusamente nel prossimo articolo.
Ma già adesso, nel caso dell’imprenditore, possiamo dire che il valore “dedizione del dipendente” prevede i criteri che abbiamo individuato (costante presenza, puntualità etc…). Ma questi criteri non sono regole universali. Sono solo i criteri di soddisfazione del valore “dedizione del dipendente” di quell’imprenditore. A fronte di questo profilo, ci sono tante declinazioni dello stesso valore, quanti sono gli imprenditori. Per cui, ci sarà l’imprenditore che sente che il valore “dedizione” è soddisfatto dal suo collaboratore, quando è puntuale nella consegna degli incarichi, indipendentemente che abbia rispettato gli orari di ufficio o meno; e la riprova è che ci sono aziende, anche top, che non prevedono neanche orari di entrata e di uscita.
Dunque, se la risposta alla generica domanda è abbastanza categorica, andando sul concreto, possiamo dire che si può mantenere fede ai propri valori, andando a modificare uno o più criteri dello stesso. Nello specifico, l’imprenditore potrebbe arrivare a ritenere soddisfatto il valore “dedizione del dipendente” anche se il lavoratore svolge il suo ruolo, almeno parzialmente da casa, purché gli garantisca degli standard di produttività, oggettivamente individuabili e congiuntamente condivisi.
Dunque, un business coach può svolgere un ruolo fondamentale, accompagnando il cochee a lavorare sui propri valori, modificandone qualche criterio o, anche introducendone di nuovi, in modo che la persona guidata riesca, contemporaneamente, a fare una scelta etica, continuando a rispettare i propri valori, e a liberare risorse, rendendo il proprio comportamento, pur sempre in linea con i valori, ma più flessibili e funzionali.