I Due Ruoli

In altro articolo ci siamo soffermati sul concetto di squadra e sull’utilità di distinguere, almeno concettualmente, la squadra dal gruppo. Concettualmente, in quanto abbiamo riflettuto sul fatto che, a livello linguistico, i due concetti sono, almeno parzialmente, sovrapponibili e, nell’uso comune di molti contesti, le due parole vengono ritenute intercambiabili e usate alternativamente, per riferirsi alle stesse entità.

Abbiamo messo in evidenza il fatto che, soprattutto in contesti aziendali, distinguere i due concetti, aiuta molto, in termini formativi ed anche operativi e, dunque, è sano ritenere che, con la parola “squadra”, ci si riferisca ad un certo numero di persone che stanno insieme, con determinate caratteristiche e con la parola “gruppo”, invece, ad un certo numero di persone che quelle caratteristiche non hanno e che, magari, ne hanno di differenti.

Abbiamo visto che elementi distintivi, tra i due concetti, sono nella presenza di uno scopo condiviso, nel concetto di squadra, assente nel concetto di gruppo e nella componente alchemica che rende la squadra superiore alla somma dei singoli apporti individuali. 

Sono elementi essenziali, per poter parlare di squadra. Ma non sono sufficienti.

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Il Leader & Il Linker

Un altro elemento essenziale, nel concetto di squadra, è la presenza di ruoli specifici. In una prima istanza, ce la possiamo cavare abbastanza bene, nella spiegazione, pensando ad una comitiva di amici. Crediamo che sia condivisibile, in questo caso, parlare di gruppo e non di squadra. 

Vero è che, in molte comitive, si può riscontrare un elemento caratteristico delle squadre: la componente alchemica. Pensiamo che molte delle persone che ci stanno leggendo, se rivolgono il proprio pensiero alla comitiva di amici, di cui fanno parte o di cui hanno fatto parte da giovani, possono facilmente rievocare l’aria che si respira o si respirava, quella componente invisibile, che derivava dallo “stare insieme”, dal fare le cose insieme, magari progettando e facendo una vacanza o semplicemente trascorrendo una bella serata. Lo stare insieme, in questo specifico caso, è quel qualcosa in più, superiore alla somma dei singoli apporti di ogni componente.

Ma, fatta salva questa componente, ci sembra improprio parlare di una comitiva di amici, come di una squadra ma ci sembra più appropiato utilizzare la parola gruppo. Infatti, difficile pensare alla presenza di uno scopo condiviso, laddove è più naturale pensare alla presenza dello scopo comune, differenza su cui ci siamo soffermati, in altro articolo.

E, molto probabilmente, salvo che per specifiche attività, un altro elemento essenziale della squadra, che manca nelle comitive, è quello dei ruoli. Salvo specifiche attività, dicevamo, perché magari, in una comitiva in cui è abitudine riunirsi per cantare, accompagnati dalla chitarra (visione romantica, in epoca karaoke), evidentemente è necessario, che almeno un ruolo ci sia: quello del chitarrista. Ma, aldilà di questo o altri specifici casi, legati a specifiche attività, l’appartenere ad una comitiva, di norma, non prevede che si abbia un ruolo specifico.

I ruoli sono, invece, un elemento che, normalmente, caratterizza le squadre. E, anzi, più gli scopi che si perseguono sono sfidanti, complessi ed articolati, più la strutturazione in ruoli diventa la naturale conseguenza, dell’esistenza della squadra.

In questo contesto, vogliamo soffermarci su due ruoli in particolare, che sono presenti in quasi tutte le squadre, se non proprio in tutte: il leader ed il linker.

Sul primo, sul concetto di leader, la letteratura è oceanica. Paradossalmente o, forse, proprio perché si è scritto e detto tanto, le novità concettuali, al riguardo, negli ultimi decenni sono veramente pochi. Molto meno si parla del linker e c’è molta meno elaborazione concettuale. E, in questo caso, a nostro giudizio, vi è una sottovalutazione dell’importanza di questo ruolo. Per questo motivo, a questa figura dedicheremo un articolo a parte.

Sul leader, dicevamo, si è detto e scritto tanto e si continua a farlo. Ma, in realtà, gli spunti sono pochi. A giudizio di chi scrive, la presenza di un leader è imprescindibile, all’interno di una squadra; ne è un elemento essenziale. 

Come è ovvio, anche di leader e di leadership sono pieni i libri e gli articoli. E dare una definizione che sia esaustiva, ci sembra impresa non realizzabile.

A noi piace questa definizione, consapevoli che, non differentemente dalle altre, possa non essere esaustiva: “Il leader è colui il quale guida le persone e lo fa in modo tale che, chi è guidato trovi naturale seguire le sue indicazioni, semplicemente per il carisma che lo caratterizza e la sicurezza che lo contraddistingue”. Dunque, è la naturalezza con cui guida e viene seguita, priva di sforzi, che rende una persona, leader. Naturalmente ci sarebbe da dire tanto di più, ma non intendiamo impiccarci sulla nostra definizione così come non intendiamo analizzare e, eventualmente, criticare le definizioni di altri. 

Più interessante, ci sembra, soffermarci su alcuni aspetti della leadership, legati alla squadra.

Dicevamo, allora, che sul leader si è detto e scritto tanto e che il leader è inevitabilmente legato al concetto di squadra. Questo dipende dal fatto che, molto spesso, è lo stesso leader che fa nascere la squadra. Ma dipende anche dal fatto che, quando si crea una squadra, il leader emerge naturalmente.

Mentre il primo caso sembra abbastanza pacifico, più interessante è il secondo caso. Perché, nel primo caso la nascita della squadra è, semplicemente, un naturale sviluppo della leadership. Chi è leader, ad un certo punto, è molto probabile che metta in piedi una squadra, per il perseguimento di un obiettivo o di una “mission” importante e sfidante.

Il secondo caso, invece, può presentare delle complessità, magari inattese, eppure facilmente constatabili. Facilmente, in quanto la casistica ci racconta che succede spesso.

Mettiamo il caso che venga creata una squadra da un imprenditore che, per esempio, crea una nuova divisione o, più semplicemente, una nuova unità, all’interno dell’azienda, per uno scopo specifico; può succedere che, magari, non abbia individuato un vertice, cioè un capo, un responsabile, un qualcuno a cui gli altri componenti dell’unità rispondono e che, a sua volta, risponde direttamente a lui.

In questo caso, dunque, in cui possiamo immaginare che è lasciata ai singoli componenti, la facoltà di darsi un’organizzazione, è molto facile che un leader emerga naturalmente. Cioè che, qualcuno, istintivamente e per attitudine, prenda in mano le redini della divisione o dell’unità e cominci ad assegnare compiti, a definire regole e meccanismi di funzionamento. E’ quasi fisiologico e tenderemmo a togliere il “quasi”. 

Questo fenomeno sarà determinato dal fatto che ci sono persone che hanno una naturale attitudine alla leadership. Ed è giusto il caso di precisare che si è leader, indipendentemente dal fatto che si faccia parte di una squadra. Ma è determinato anche dal fatto opposto e, cioè, che ci sono persone che hanno la naturale esigenza di avere un leader. Dunque, in una ipotetica unità, lasciata libera di organizzarsi, sarà fisiologico che qualcuno assuma la leadership e sarà fisiologico che qualcuno si metta nelle condizioni di essere guidato e, dunque, alimenti la naturale propensione alla leadership di qualcun altro.

Questo ipotetico esempio mette inevidenza un aspetto da non sottovalutare e che torna nella domanda tormentone di tanti corsi di formazione: “leader si nasce o si diventa?”

Troviamo impropria la domanda o, quantomeno, troviamo che dare una risposta sia troppo semplicistico. In generale, è facile constatare che la leadership è quasi una dote naturale, che appartiene ad alcune persone e non ad altre. E, dunque, se qualcuno è leader, messo in uno specifico contesto con altre persone, in cui si rintraccia uno scopo condiviso, la sua leadership emergerà, in breve tempo, e detterà tempi e linee guida. E, dunque, da questa prima osservazione sembrerebbe che stiamo quasi propendendo per la risposta: “leader si nasce”.

Il fatto è che la storia dello sport e delle aziende ci offrono anche esempi di segno contrario: persone che, apparentemente, non avevano tratti caratteriali e caratteristiche da leader e non si sentivano neanche tali, ma che, in particolari circostanze, sono venuti fuori, con tanto di leadership carismatica, determinando le sorti delle squadre, di cui facevano parte.

Si tratta di situazioni in cui persone specifiche sono diventate leader, nel senso che hanno imparato ad esserlo. O, semplicemente, hanno tirato fuori doti da leader, che non avevano avuto occasione di mostrare, in precedenza e delle quali, magari, non erano neanche consapevoli, essendo interiormente convinti di non averle. Dunque, pensando a tutti questi casi, viene da pensare che leader non solo si nasce, ma si può diventare e non poche volte si diventa.

Vero è, comunque, che la leadership è un’attitudine naturale di certe persone. 

E, a questo proposito, non poche volte si assiste a situazioni in cui tale leadership naturale finisce per creare problemi all’interno di squadre. Pensiamo, per esempio, a quelle situazioni in cui, in squadre precostituite, il ruolo di vertice è assegnato ad una persona e, all’interno della squadra, c’è la presenza di uno o anche più componenti, che hanno attitudini da leader.

A situazioni di questo tipo, si assiste continuamente e gli esiti di questa miscela sono i più diversi.

Ci limitiamo a dire che i casi più critici sono quelli in cui, a fronte della presenza di uno o più leader naturali, all’interno della squadra, il vertice manca di doti di leader. E’ il classico caso in cui, possiamo individuare la figura del “capo”, inteso in termini di incarico. Questo, succede, per esempio, quando quella persona è stata collocata al vertice da qualcun altro, magari dall’imprenditore, che ha visto in lui/lei, sbagliando, doti di leader che non ha oppure, succede nella Pubblica Amministrazione, ma anche nelle aziende, perché quel ruolo è stato ricoperto per concorso o per naturali evoluzioni di carriera o, semplicemente, per scelte ponderate male.

Situazioni del genere possono determinare gli esiti tra i più diversi. Molte volte, gli esiti non sono positivi, sia in termini di risultati, sia in termini di coesistenza, tra le varie figure, sia di permanenza di figure, evidentemente incompatibili, all’interno della squadra. Spesse volte o il leader naturale viene allontanato oppure salta il vertice.

Gli esempi che si possono fare sono molteplici e, non ne faremo altri.

Ci piace pensare che questo articolo sia uno spunto di riflessione. Uno spunto per ragionare su un concetto, molto masticato, ma non sufficientemente approfondito. E ci piace pensare che questo spunto possa aiutare molte persone, ad esercitare la propria leadership con maggiore consapevolezza e molte persone a tirar fuori la leadership che è in loro e che non sanno di avere.

Ma ci piace pensare anche che aiuterà molti leader ad individuare le leadership intorno a loro, ad utilizzarle e a valorizzarle. Perché un concetto ci è caro: ci piace la leadership di chi, essendo tale, non penalizza gli altri leader ma, al contrario, li aggrega e li valorizza, fenomeno che, purtroppo, si vede sempre meno spesso.

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